Il Tramonto della Signoria
Alla morte di Cansignorio, ultimo grande signore della Scala, la signoria Scaligera entra in una profonda crisi. Lotte interne per il potere, malgoverno, le trame delle potenze confinanti causano un periodo di forte instabilità che si conclude con la cacciata dei della Scala dopo più di un secolo di incontrastato governo di Verona.
Castelvecchio. L'imponente castello scaligero è in realtà un segno tangibile della debolezza della signoria che lo fa costruire per la paura di nemici interni ed esterni.
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La Successione di Cansignorio
Cansignorio della Scala muore nel 1375. Con l'assassinio del fratello Paolo Alboino, Cansignorio aveva garantito la successione ai figli naturali, poi legittimati, Bartolomeo e Antonio.
Vi erano però altri pretendenti alla successione: i figli di Cangrande II, prima vittima degli spietati fratricidi di Cansignorio. A complicare ulteriormente c'era Milano che manifestava sempre più apertamente l'interesse ad allargare i suoi confini a oriente, verso Verona e i suoi territori. Beatrice, sorella di Cansignorio andata in sposa a Bernabò Viconti signore di Milano, reclamava la sua parte dell'eredità del padre Mastino II.
Nel 1375 scoppia la guerra tra Venezia e Genova. I Visconti si alleano con la Serenissima e in cambio del loro aiuto avanzano pretese su Verona. La signoria, ormai vaso di coccio tra vasi di ferro, cercò l'alleanza dell'antica rivale Padova, e a loro si unisce il re d'Ungheria. Nell'aprile del 1379 i Visconti giungono a Santa Lucia, alle porte di Verona. La città e il suo formidabile sistema difensivo si rivelano ancora una volta inespugnabili e i Visconti devono rientrare a Milano. Alla testa di 1400 cavalieri, partecipa alla campagna militare la stessa Beatrice della Scala, detta Regina, che alla fine ottiene che le venga liquidato il denaro dell'eredità in cambio alla rinuncia ai diritti di successione. La minaccia Viscontea, lungi dall'esser stata neutralizzata è solo temporaneamente allontanata.
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Bartolomeo e Antonio della Scala
Nella generale decadenza del potere, gli intrighi di palazzo precipitano verso una drammaticità che nemmeno il genio di Shakespeare avrebbe potuto immaginare.
I due giovani figli di Cansignorio erano profondamente diversi. Bartolomeo, il maggiore, non brilla per intelligenza, ma è ben visto dai veronesi che ne apprezzano l'indole mite e la modestia.
Alberto, al contrario, è intelligente, ambizioso e senza scrupoli come il padre e molti altri suoi predecessori. E come il padre anche Alberto si macchia dell'assassinio del fratello, forse ispirato dalla matrigna, vedova di Cansignorio, Agnese di Durazzo.
Bartolomeo, consapevole dei nefasti piani del fratello, mentre pianifica la fuga presso Carlo III di Napoli viene ucciso il 13 luglio del 1381 con 26 coltellate. L'assassino è Cortesia da Serego, il freddo e spietato sicario degli scaligeri, che in cambio ottiene il comando delle truppe cittadine.
I cadaveri di Bartolomeo e dell'amico Galvano da Poiana vengono trasportati davanti all'abitazione dei Nogarola. Il piano è quello di addossare la colpa del misfatto alla nobile famiglia veronese, antichi sostenitori dei della Scala, una cui membra era fidanzata di Alberto, oppure a Spinetta Malaspina, innamorato della medesima fanciulla e che sarebbe stato accusato con il movente della gelosia.
La ragazza, alcuni suoi parenti e lo stesso Malaspina vengono arrestati e torturati per fargli confessare il delitto. La ragazza muore durante il supplizio, i Malaspina e i Nogarola posti al bando e i loro beni confiscati.
Ad aggiungere alla tragica beffa, i funerali di Bartolomeo si svolgono con ipocrita pompa anche se a tutti appariva chiara la macchinazione del perfido Antonio.
Antonio si circonda di una corte di adulatori e infidi personaggi, allontando chiunque avanzi critiche al suo dissoluto comportamento. Tra questi c'è Guglielmo Bevilacqua, membro di una delle famiglie da sempre a fianco dei della Scala e che era stato designato tutore del giovane Antonio dallo stesso Cansignorio. Gli vengono confiscati i beni ed è bandito da Verona. Si rifugia presso i Visconti e ne diviene consigliere, meditando da Milano la propria vendetta.
Antonio sposa la figlia del signore di Ravenna, Samaritana da Polenta. Le cronache dell'epoca la ricordano come una donna di straordinaria bellezza, avida, dissoluta e amante del lusso sfrenato. Notevole è il suo contributo nell'accellerazione della fine della gloriosa famiglia della Scala. Antonio, accecato dalla passione per la consorte si lascia andare a spese folli per compiacere la sete di sfarzo della bionda Samaritana. Fa smontare la corona che Mastino II, nel suo delirio di potere, aveva realizzato quando ancora sognava un destino regale per la casata scaligera. Con le pietre preziose adorna le vesti della moglie. Alla continua ricerca di denaro, viene anche abolita l'usanza di sfamare i poveri della città.
Dal matriomonio, celebrato a Ravenna il luglio del 1382, nascono Polissena, Taddea e Can Francesco.
Visconti e Carraresi
Nel 1385 il potere visconteo passò nelle mani di Giangaleazzo che mosse deciso su Verona. Al nuovo signore di Milano, prototipo del signore rinascimentale, violento e amante della cultura e dell'arte, si allearono Francesco da Carrara e gli Estensi nel tentativo di riequilibrare il crescente potere veneziano in terraferma. Antonio, ormai accerchiato, tentò l'alleanza con la Serenissima, ma nel giugno del 1386 subì una pesante sconfitta alle Brentelle, nei pressi di Padova. Nella battaglia lo stesso Cortesia Serego e il fratello della moglie di Antonio, Ostasio da Polenta vennero fatti prigionieri. Gli scaligeri vennero nuovamente sconfitti a Castagnaro nel marzo del 1387. Agli alleati non restava che spartirsi le spoglie dei territori scaligeri. A Giangaleazzo Visconti andò la zona compresa tra il Garda e l'Adige. Ai Carraresi andò il territorio vicentino. Guglielmo Bevilacqua e Spinetta Malaspina vedevano giungere l'ora della vendetta. Messisi in contatto con un gruppo di congiurati all'interno di Verona, riuscirono a farsi aprire le porte della città, entrandovi con 300 armati la notte del 17 ottobre 1387. Antonio, avvisato di quanto stava accadendo, salito a cavallo, percorse la città cercando di animarne le difese. Il popolo, stanco ormai del dissoluto potere scaligero, lo ignorò. Quanto tempo era passato da quando i primi scaligeri erano stati acclamati signori di Verona a furor di popolo. Ad Antonio non restò che arroccarsi con la moglie e i figli nel mastio di Castelvecchio assediato dalle truppe viscontee ormai entrate a Verona. Il Bevilacqua, esiliato pochi anni prima, si presentò a trattare le condizioni della resa ma venne sdegnosamente respinto. In un ultimo, disperato tentativo di salvezza Antonio offrì la città all'imperatore Venceslao di Ungheria chiedendo di rimanervi come vicario. Tradito dagli stessi messi imperiali, la città cadde definitivamente in mano ai Visconti e ad Antonio non restò che la fuga. Assieme ai figli e alla moglie trovò esilio a Venezia. Antonio morì di lì a poco in provincia di Forlì, mentre tentava di raggiungere la Toscana per un disperato tentativo di raccogliere e riorganizzare i soccorsi. Samaritana, venduti progressivamente per potersi mantenere gli amati gioielli che le erano stati donati da Antonio finì in miseria con la modesta pensione che il governo veneziano concedeva alle persone indigenti.
Gli Ultimi Scaligeri
L'unico figlio maschio di Antonio, Can Francesco, morì ancora in giovane età. Guglielmo della Scala, superstite dei figli legittimi di Cangrande II, tentò un ultimo disperato tentativo di restaurazione scaligera a Verona nel 1404. Il popolo, caduto dalla padella scaligera, nella brace viscontea, sembrò sperare ancora negli antichi signori di Verona e lo acclamò al grido di "Scala, Scala!". Guglielmo era però malato e morì dopo soli dieci giorni dal suo ingresso trionfale. I suoi figli, Brunoro e Antonio, arrestati dai Carraresi, furono imprigionati a Padova.
L'Epilogo
Si chiudeva tristemente e definitivamente l'era scaligera. In poco più di cento anni gli scaligeri erano saliti al potere rendendo Verona capitale di un territorio sempre più vasto, peso importante nell'assetto politico del nord Italia, temuta e rispettata dalle potenze vicine, meta di artisti e poeti. Le donne scaligere erano andate in sposa a rampolli di famiglie nobiliari di mezza Europa, avevano raggiunto l'apice per poi discenderne rapidamente, vedendo nel giro di pochi anni ridotti i propri possedimenti, finendo in miseria e quasi dimenticati dalla Storia.
I figli di Guglielmo, una volta rilasciati, trovarono rifugio presso l'imperatore Sigismondo di Baviera cui erano legati da vincoli di parentela matrimoniale. Il nome della casata fu cambiato in un più germanico Herren von der Leiter. Nicodemo della Scala, anzi der Leiter, divenne Vescovo di Frisinga, Brunoro ricevette dall'imperatore il titolo di governatore di Verona e Vicenza, nella speranza che potesse diventare strumento dell'espansione imperiale oltralpe.
Un ultimo fallimentare tentativo di restaurazione scaligera si ebbe nel 1412. Ormai la popolazione aveva accettato e sposato la più concreta causa veneziana. Discendenti di Mastino e Cangrande sono ancora oggi sepolti nella cappella di Ratisbona e nella Oberen Franziskaner Kirche di Ingostadt.
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