La Verona veneziana

gian galeazzo visconti

Il doge Michele Steno riceve le insegne e le chiavi della città di Verona dalla delegazione di 40 rappresentanti cittadini che giurano fedeltà alla serenissima nel 1405.

 

Il 12 luglio 1405, il Doge Michele Steno, affiancato dal Gran Consiglio, accolse i veronesi in piazza San Marco, tutti vestiti di bianco in segno di purezza e sincerità. In rappresentanza della città. Pietro da Sacco, assieme a Torneo de Caliari e Gaspare da Quinto, consegnarono le tre chiavi della città e dei suoi distretti in segno di dominio e possesso. Iniziava formalmente un periodo che sarebbe durato quasi quattro secoli e nel quale pace e stabilità sarebbero state barattate con un lento e progressivo declino politico ed economico.

 

Nonostante la fine definitiva del sogno di poter ancora essere città indipendente resuscitando i fasti della Signoria Scaligera, si registrarono a Verona sincere manifestazioni di esultanza. Ci si rendeva conto di trovarsi, dopo tanti rivolgimenti, sotto un governo stabile, saggio e forte.
Il 21 luglio gli ambasciatori veronesi ritornarono a Verona, acclamati dal popolo, portando con se' il gonfalone con il leone alato ricevuto dal Doge, e le Bolle d'Oro contenenti i trattati e i privilegi che erano stati concessi da Venezia alla città.
Il 2 agosto il gonfalone fu portato solennemente in piazza Erbe, issato sul Carroccio, simbolo della Verona comunale e che ancora era conservato all'interno di San Zeno, e quindi issato sull'antenna della piazza, affianco al capitello.
Verona aveva ricevuto il privilegio di non vedere aboliti gli Statuti del Comune e quelli della Domus Mercatorum. Di fatto Verona, grazie anche alla storia e al prestigio di cui aveva goduto sin dall'epoca romana, conservava molti privilegi anche se la richiesta di tributi da parte di Venezia iniziò ben presto a pesare sull'economia cittadina.
Sotto il dominio di Venezia, Verona continuò ad amministrarsi come aveva fatto in passato ma venne assoggettata alla supervisione dei Rettori Veneti, due patrizi veneziani che ricoprivano le cariche di Podestà e di Capitano. Il Podestà era responsabile degli affari civili e giudiziari, al Capitano spettavano invece le questioni militari e finanziarie. Entrambi restavano in carica 16 mesi, inviando nella capitale accurate relazioni e informative che analizzavano la situazione veronese, lo stato della classe dirigente cittadina e gli umori del popolo.
La città aveva nel Consiglio Maggiore dei Cinquanta e nel Consiglio Minore dei Dodici i propri organi legislativi e amministrativi che per riunirsi faranno costruire la Loggia del Consiglio, splendido esmempio, tra i primi in Veneto, di architettura rinascimentale. I loro membri appartenevano a una ristretta cerchia di notabili cittadini che si spartivano il controllo della vita pubblica. Ad essa appartenevano in particolare le famiglie nobiliari dei Nogarola, Bevilacqua, Scalotta, Berettona, Farabotti. In tal modo la città era avviluppata nella rete di interessi tessuta da un ristretto numero di famiglie che formavano un'oligarchia inamovibile. Mentre nell'età comunale i consigli cittadini erano occupati da figure attive ed operose, spesso imprenditori, commercianti e artigiani, ben consapevoli dell'importanza dell'economia e degli affari per le sorti della città, nel periodo veneziano, gli amministratori iniziarono ad essere maggiormente interessati al proprio tornaconto e, con il passare degli anni, furono sempre più ripiegati in uno splendido isolamento. Gli investimenti si indirizzarono sempre più verso le proprietà terriere, e anche la nobiltà veronese incominciò a scimmiottare usi e costumi di quella veneziana, per la quale era disdicevole applicarsi in attività commerciali. I membri delle famiglie nobiliari veronesi presero sempre più ad abbandonarsi all'ozio dorato della villeggiatura nelle tenute di campagna, le famose ville venete, che sorsero, sfarzose, anche nel veronese.

 

A livello economico, Venezia incominciò a imporre dazi pesanti su alcune attività economiche strategiche, che in passato avevano garantito il benessere cittadino come la produzione e il commercio della lana, che cadde in una profonda crisi e venne presto sostituita da un nuovo tessuto: la seta. In breve le campagne assistettero alla diffusione del gelso, morar in veronese, le cui foglie sono fondamentali nella bachicoltura.
Venezia, per sostenere il proprio potere militare, aveva necessità continua di risorse economiche oltre che di soddisfare le necessità primarie di una città che di fatto non produceva niente e doveva importare tutto ciò che serviva al sostentamento della popolazione, derrate alimentari in particolare. I dazi e la tassazione imposta da Venezia, congelò progressivamente quella vitalità nei commerci e nell'artigianato che avevano caratterizzato Verona sin dai tempi del Comune.
Dal commercio, molto dell'interesse economico si sposta verso la terra e l'agricoltura. Venezia iniziò la vendita dei beni che erano appartenuti agli Scaligeri, ai Visconti e ai Carrara e sempre più nobili e ricchi mercanti investirono buona parte delle proprie ricchezze nell'acquisto di poderi e nel tentativo di rendere più efficienti le proprie aziende agricole e più produttivi i terreni. Le famiglie patrizie come i Nogarola, gli Emilei, i Da Lisca, Giusti, Canossa, Bevilacqua, Miniscalchi acquisiscono grandi latifondi, al centro dei quali pongono sontuose ville, molte delle quali ancora visitabili e che portano i loro nomi.

 

La Guerra coi Visconti - 1438

Le mire di Milano a oriente del proprio territorio non erano sopite e nel 1438 Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, mosse guerra a Venezia, ponendo Brescia sotto assedio.
Per aggirare le posizioni viscontee e cogliere gli assedianti di sorpresa, il Doge Francesco Foscari decise di dare operatività a un'impresa ardita. Un'intera flotta veneziana sarebbe stata trasportata nel lago di Garda passando per terra. Le venticinque barche e sei galere furono fatte risalire dalla foce dell'Adige, lungo il fiume fino quasi a Rovereto e quindi, lasciata l'acqua, trainate su e giù per le pendici del monte Baldo, fino a Torbole. Dopo una prima malaparata della flotta guidata da Pietro Zeno, i veneziani riescono ad avere la meglio sulla flotta viscontea facendo capitolare Riva e riprendendo il controllo del lago di Garda.
I Visconti si erano nel frattempo alleati coi Gonzaga e, con i rinforzi mantovani, organizzarono l'assalto a Verona dove riuscirono ad entrare e prendere il controllo della città. Organizzato rapidamente il contrattacco guidato dal celebre capitano di ventura Erasmo da Narni, detto Gattamelata, i veneziani tuttavia riuscirono a mettere in fuga i lombardi e riportare la città sotto la Serenissima.
Dopo la breve interruzione della guerra coi Visconti, Verona tornò a godere di un periodo di pace che sarebbe durato fino all'inizio del '500.

 

Il Rinascimento

la loggia del consiglio

La loggia del Consiglio in piazza dei Signori a Verona. Spesso attribuita all'architetto originario di Soave Fra Giocondo, è considerato il primo esempio di architettura puramente rinascimentale in Veneto.

Durante la dominazione veneziana arriva e si sviluppa anche a Verona il nuovo stile artistico. La città ha ormai perso una corte unica in grado di dettare le tendenze in campo artistico e di richiamare con il proprio mecenatismo importanti nomi così come era accaduto coi della Scala. Ciononostante, le nobili famiglie di Verona amano circondarsi di opere d'arte e l'attività pittorica continua a prosperare. Proprio nei primi decenni di dominazione veneziana si assiste all'ascesa di Antonio Pisano, meglio conosciuto come il Pisanello, massimo esponente del cosiddetto gotico cortese che nel realismo e nell'attenzione ai volumi e proporzioni anticipa elementi propri del del Rinascimento. Bisogna tuttavia arrivare al 1465, con l'installazione del trittico del Mantegna in San Zeno per avere una data d'inizio ufficiale. L'impatto dell'opera sulla popolazione, sulla committenza e sugli artisti è tale che da allora il linguaggio pittorico veronese cambia radicalmente.
In quegli stessi anni viene realizzata la nuova sede del consiglio cittadino: la Loggia del Consiglio. Attribuita all'architetto veronese, originario di Soave, Fra Giocondo, si tratta del primo edificio rinascimentale del Veneto, in tutto e per tutto simile alle logge toscane e fiorentine.
Bisognerà tuttavia aspettare la seconda generazione di artisti perché il nuovo stile sia maturo, con l'opera di Falconetto, Girolamo dai Libri e più avanti ancora Paolo Veronese per quanto riguarda la pittura, e con il genio assoluto di Michele Sanmicheli in architettura.

 

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