Approfontimento: I Gladiatori
Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sui gladiatori. Chi erano, come vivevano, come si allenavano, come combattevano e come morivano negli anfiteatri. Approfondimento per le scuole e per tutti gli appassionati di storia romana.
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Le origini
Le lontane origini dei giochi di gladiatori vanno ricercate nei riti funebri dell'antico mondo greco. Nel XXIII canto dell'Iliade Omero racconta in dettaglio il funerale di Patroclo. Il rito funebre include gare di forza tra gli eroi achei. C'è la corsa dei carri, il pugilato, la lotta e il duello tra opliti armati di tutto punto. Era quindi pratica comune onorare la morte di un personaggio importante con gare e combattimenti. Nessuno degli incontri però prevedeva la morte dell'avversario sconfitto. I contendenti si fermavano al primo sangue.
Popoli Italici: Etruschi e Campani
I giochi funebri si diffondono anche tra i popoli italici.
Enea, mitico antenato dei romani proveniente da Troia, celebra quelli in
onore del padre Anchise.
Gli etruschi però trasformano i giochi funebri in
combattimenti cruenti. In uno degli affreschi nella tomba degli
Auguri a Tarquinia, accanto a due pugili che si affrontano, è
raffigurato un uomo incappucciato che brandisce una grossa clava mentre
viene azzannato da un cane. Ricorda molto da vicino una venatio
romana (vedi di seguito).
Potrebbe trattarsi di competizioni atletiche sul modello greco che si sono evolute in qualcosa di più violento.
Oppure potrebbero essere sacrifici
umani per placare l'anima di un defunto importante,
"mascherati" da competizione sportiva. Anche al funerale di Patroclo
vengono sgozzati e buttati sulla pira dell'eroe greco dodici prigionieri
troiani di nobili origini.
L'associazione dei giochi al rito funebre è comunque sempre presente e
durerà a lungo anche quando questi spettacoli si diffonderanno nella
cultura romana.
A Roma
Il combattimento di gladiatori si diffonde a Roma più tardi. Viene chiamato munus, parola che ha il significato di "dono", "regalo", ma anche "offerta funebre", "dovere (verso il defunto)".
La prima notizia certa è del 264 a.C. quando i figli del console Giunio Bruto fecero esibire tre coppie di gladiatori in onore del padre defunto. Qualche anno dopo, nel 216 a.C, per onorare la morte di Marco Emilio Lepido si scontrano 22 coppie di gladiatori per tre giorni. Nel 200 a.C. per il funerale di Mario Valerio Levino i guerrieri che si affrontano sono 50, e nel 180 d.C. per Publio Licinio Crasso 120. Nel 140 a.C. per onorare l'anima di Viriato addirittura 400.
In breve questa antica usanza si ingrandisce a dismisura, e l'aspetto
spettacolare di intrattenimento prende il sopravvento su quello rituale.
La pratica segue l'espansione romana diffondendosi in tutti i
territorio conquistati.
Nel 160 a.C. il commediografo Terenzio si lamenta del pubblico che corre
via dal teatro dove è in scena una sua opera non appena si sparge la voce
che si sta svolgendo uno spettacolo di gladiatori.
In questo periodo i combattimenti si svolgevano in grandi spazi
all'aperto, non esistevano ancora gli anfiteatri.
Da Rito Funebre a Pubblicità Elettorale
Quando ci si rese conto dello straordinario successo di pubblico che
avevano i combattimenti di gladiatori, in molti decisero di sfruttarlo
per ottenere consenso per le proprie ambizioni politiche.
La Lex Tullia, promulgata da Cicerone nel 63 a.C. durante il suo
consolato, ci fornisce un quadro molto chiaro di cosa fossero
diventati i giochi di gladiatori. La legge impediva ai personaggi pubblici
di finanziare giochi gladiatorii nei due anni precedenti le elezioni, a
meno che non vi fosse un esplicito obbligo testamentario.
Fatta la legge, trovato l'inganno, si diffuse rapidamente la pratica di
tenere in sospeso i munera fino al momento politicamente più
opportuno. Cesare attese ben 21 anni per celebrare i
giochi in onore del padre con ben 320 coppie di gladiatori. E lo fece nel
momento più conveniente per la propria carriera politica, quando fu eletto
alla carica di edile.
L'Età Imperiale
In epoca imperiale i giochi ricaddero sotto la competenza
dell'imperatore, diretta, o delegata ai magistrati e questori
che, a proprie spese, dovevano provvedere a organizzare i munera
due volte l'anno. Ormai non vi è più alcun legame con i riti funebri.
Varie leggi regolamentavano i giochi.
La prima età imperiale fu anche quella in cui si fissarono le
categorie di gladiatori che rimasero praticamente invariate
fino alla proibizione dei giochi (vedi più sotto).
È questo il periodo in cui nacque lo spettacolare palcoscenico dedicato
allo svolgimento dei combattimenti: l'anfiteatro. I
giochi raggiunsero il massimo dello sfarzo con l'80 d.C. quando
viene aperto l'anfiteatro Flavio, cioè il Colosseo. Gli
spettacoli per l'inaugurazione offerti dall'imperatore Tito durarono 100
giorni. Ai tradizionali combattimenti si aggiunsero via via spettacoli più
complessi, con battaglie navali, cacce, esibizioni di abilità, ecc.
Traiano non volle essere da meno, con 120 giorni di combattimenti per
celebrare la sua vittoria contro i Daci. 120 giorni di spettacoli, 10.000
gladiatori, 11.000 animali.
L'imperatore Commodo era talmente fanatico di gladiatori
che scendeva personalmente nell'arena e affrontava uomini e animali
vestito da gladiatore con armi decorate d'oro e pietre preziose.
populus duas tantum res anxius optat panem et circenses
È l’autore satirico Giovenale che parla di panem et circenses. Lo scopo dei giochi appare sempre più finalizzato a ingraziarsi il popolo, sopirne i sentimenti di insoddisfazione e rivolta, distoglierne l’attenzione dalla vita politica, lasciandola così in mano alle élite.
Declino e Fine
Con il diffondersi del cristianesimo incominciarono a
levarsi voci critiche nei confronti di uno spettacolo così crudele e
violento. Il declino economico dell'impero rendeva
inoltre sempre più insostenibili gli esorbitanti costi dei giochi.
Nel 325 d.C. Costantino vietò la condanna ad
bestias, in cui animali feroci sbranavano i condannati a morte. Teodosio,
nel 399 fece chiudere le scuole gladiatorie.
Infine, nel 404 d.C. l'imperatore Onorio proibì formalmente i
combattimenti dei gladiatori che, almeno nelle province più
lontane dell'impero continuarono ancora per qualche decennio. Era la fine
di una tradizione crudele e affascinante che era proseguita per più di sei
secoli.
Gli anfiteatri vennero progressivamente abbandonati. L'ultimo spettacolo
nel Colosseo (non di gladiatori) è del 523 d.C.
Come si svolgevano i Ludi
Di solito i combattimenti dei gladiatori coincidevano con una ricorrenza: una festività, un anniversario, la vittoria di una guerra. L'evento durava dalla vigilia alla sera successiva. In casi eccezionali, i giochi potevano proseguire per più giorni consecutivi. Lo spettacolo veniva annunciato da pubblicità nei giorni precedenti e comparivano sui muri manifesti che annunciavano l’arrivo dei gladiatori. L’organizzatore dei giochi prima dell’inizio della sfida offriva ai combattenti una coena libera, ossia aperta a tutti. Era un'occasione per vedere da vicino i gladiatori e farsi un’idea della loro prestanza fisica in vista delle scommesse che erano pratica comune.
La giornata si articolava in vari momenti:
La Sfilata Iniziale
Entrati tutti gli spettatori iniziava la processione solenne (pompa
triumphalis). L’organizzatore dei giochi, l’editor
(imperatore o magistrato se fuori Roma), avanzava dall’ingresso principale
preceduto da littori. Lo accompagnavano suonatori, annunciatori che
leggevano il programma al pubblico e aiutanti con le armi e gli elmi dei
gladiatori. Seguiva la probatio armorum, la verifica delle armi.
Infine entravano i protagonisti: prima i gladiatori
professionisti, poi le bestie selvatiche e i condannati a morte.
Solo quando l’editor prendeva posto sul pulpito potevano iniziare i
giochi.
Venationes
La giornata iniziava la mattina con le prove di abilità con gli animali.
Venatio in latino significa letteralmente "caccia".
L’esposizione di animali rari e le ricostruzione di paesaggi esotici sullo
sfondo era un momento amatissimo. Gli animali infatti provenivano
da tutto l’impero: cervi dalla Britannia, giraffe
e antilopi dall’Egitto, lupi e
orsi dalla Gallia, bisonti dalla Germania.
Dopo le cacce venivano rimosse le carcasse e veniva spruzzata acqua e
zafferano nell’aria per depurare l’ambiente.
Pubbliche Esecuzioni
A seguire c'erano le condanne a morte, trattate alla stregua di uno spettacolo di intrattenimento. Le esecuzioni erano intervallate da gare atletiche o intermezzi comici. Potevano essere uccisi sia cittadini romani (con un solo colpo di spada) sia stranieri e schiavi con ogni genere di supplizio: crocifissi, bruciati, dati in pasto alle fiere. Potevano addirittura essere messe in scena delle vere e proprie ambientazioni scenografiche e coreografie.
Il pranzo
A metà giornata c'era l'intervallo per mangiare. Nei munera più ricchi, l'editor offriva cibo e bevande al pubblico. In quelli più economici in provincia gli spettatori portavano il pranzo al sacco da casa.
La sfilata dei gladiatori
Il momento più atteso da tutti si svolgeva al pomeriggio.
I combattenti in abiti e armature da parata venivano presentati alla folla
accompagnati da suonatori, che con trombe e altri strumenti
intonano motivi di derivazione militare. La musica accompagnava
anche l'incontro, proprio come la colonna sonora di un film,
sottolineando le fasi più movimentate del combattimento e i colpi più
spettacolari.
Ave Cesare! Morituri te salutant!
La frase è famosissima e viene da tutti considerata il saluto che i
gladiatori rivolgevano all'imperatore prima di iniziare il combattimento:
"coloro che stanno per morire ti salutano".
In realtà fu pronunciata una sola volta per salutare Claudio dai naumachiarii, coloro che partecipavano alle
spettacolari battaglie navali (vedi sotto), comunque non meno letali dei
combattimenti nell'arena.
Non vi sono prove che venisse normalmente pronunciata negli
anfiteatri. Doveva comunque esserci qualche forma di saluto solenne rivolto all'editor o
all'imperatore.
Il Combattimento dei Gladiatori
Lo scontro tra gladiatori si svolgeva al pomeriggio, dopo l'intervallo per il pranzo, e poteva durare fino al tramonto.
Il combattimento vero e proprio poteva essere preceduto da incontri di
riscaldamento fatti con armi inoffensive.
Oppure da i paegnarii,
una specie di mimi o buffoni che eseguivano goffi combattimenti farseschi
armati di inoffensivi bastoni e fruste.
Negli anfiteatri molto grandi spesso combattevano più coppie di gladiatori contemporaneamente in più punti dell'arena in modo da creare maggiore interesse e dare una buona visuale a tutti. Più raramente potevano esserci combattimenti di gruppo.
Le Tecniche di Combattimento
Non ci sono giunti trattati o cronache che parlino in dettaglio del modo
di combattere dei gladiatori. Le tecniche possono essere
solamente ipotizzate in base ad armi e armature che
utilizzavano, alla posizione che assumono nelle rappresentazioni
di combattimenti dell'epoca.
Il più delle volte lo scontro era tra due opponenti.
Raramente nei giochi più imponenti si combatteva gregatim
cioè a squadre.
Uno dei combattimenti prevedeva che un gladiatore difendesse la sua
posizione su una pedana rialzata mentre altri cercavano di salire con la
forza per mezzo di rampe.
La Missio
I combattimenti avvenivano ad digitum, fino a che uno dei due non alzava il dito in segno di resa. Lo sconfitto deponeva a terra le armi, e alzava la mano sinistra per chiedere la missio, cioè la grazia.
Un affresco rinvenuto a Pompei mostra chiaramente questo drammatico momento di un incontro. Uno dei due gladiatori ha una profonda ferita al petto. Mostra che rinuncia a difendersi (lo scudo gettato a terra) e ad attaccare (la mano destra dietro la schiena).
La mano sinistra è chiusa a pugno con l'indice sollevato a chiedere la missio.
La richiesta della missio era il momento più carico di pathos di tutto lo spettacolo gladiatorio. Tutto l'anfiteatro si fermava in un silenzio carico di tensione in attesa del verdetto. Questo spettava all'editor, l'imperatore o il magistrato che aveva organizzato i giochi. Era importante ingraziarsi il favore del pubblico e quindi l'editor cercava di assecondarne i desideri per una questione di prestigio politico e del consenso che ne derivava. L'editor poteva chiedere direttamente al pubblico il parere che gridava iugula! (sgozza) oppure missum! (lascialo andare). La grazia era più frequente di quel che si pensi. Gli spettatori avevano già avuto un'abbondante razione di sangue e violenza nel programma del mattino con le cacce e le condanne a morte.
A volte capitava che nessuno dei due contendenti cedesse, nonostante un combattimento acceso e violento. In questi casi il pubblico chiedeva la grazia per entrambi. Niente dava più soddisfazione agli spettatori di uno scontro acceso ed equilibrato con tanta azione e tecnica raffinata.
Nel III secolo le regole cambiarono e la decisione se finire o graziare lo sconfitto passò al vincitore.
Finale
Il gladiatore che non aveva la fortuna di essere graziato doveva inginocchiarsi e aspettare docilmente di venire finito dall'avversario con un colpo di spada o coltello, di solito alla gola. Questo ci rende un'idea di quanto fosse ferrea la disciplina e la consapevolezza del proprio misero destino.
Iugola! Iugola!
I vincitori ricevevano una foglia di palma e denaro oppure una ghirlanda o una corona d’oro o ancora pietre preziose: premi alla mano il gladiatore faceva il giro dell’arena e usciva da uno dei due archi principali dell'anfiteatro, la porta triumphalis.
Caronte e lo spoliarum
Il gladiatore morto veniva trascinato fuori attraverso la porta Libitinensis, l'arco riservato ai morti. Se ne occupavano inservienti con un grottesco travestimento da Caronte, il traghettatore delle anime nell'aldilà. I corpi venivano messi in un apposito ambiente dell'anfiteatro detto spoliarum. A Caronte spettava anche il compito di finire i gladiatori agonizzanti con un colpo di mazza.Spoliarum - dipinto del pittore Juan Luna - 1844.
La Questione del Pollice
"Pollice Verso", il famoso dipinto di Jean-Léon Gérôme del 1872 che sarebbe all'origine dell'equivoco del pollice.
La questione del giudizio espresso dal pubblico con il pollice è ancora molto dibattuta. Tutto nasce dall'espressione dei testi latini pollicem vertere o pollice verso. Pollicem premere significava invece che il gladiatore sarebbe stato risparmiato. Molti studiosi ritengono che per indicare la grazia si usasse in realtà il pollice chiuso nel pugno a simboleggiare la spada riposizionata nel fodero. La condanna era invece indicata dalla mano aperta e il pollice all’insù a mimare il colpo di spada. Il gesto con il pollice verso sembra essersi diffuso a partire dall’800 a causa ad alcuni famosi dipinti a tema storico.
Quanti Gladiatori Morirono
È difficile stabilire quale sia stato il tasso di mortalità negli
anfiteatri. Da varie analisi delle fonti, pare che almeno in età
repubblicana e nella prima età imperiale non fosse così alto. Si parla di
una proporzione di un combattimento mortale ogni 10. La
morte dei gladiatori non conveniva né al lanista, che aveva investito
tempo e denaro sul loro allenamento, né all’editor che doveva pagare cifre
esorbitanti per risarcire la morte di un gladiatore.
Il popolo voleva vedere buoni combattimenti con gladiatori abili e
rispettosi delle regole ed era ben disposto a graziare chi li aveva fatti
divertire.
C'era comunque la possibilità che il gladiatore morisse nel corso del
combattimento per una ferita profonda in un punto vitale.
A Pompei per esempio nei 32 combattimenti documentati solamente 3
morirono. L'esito era annotato con lettere: M=missum, V=vicit, Ø=morto.
L’immagine che esce dagli studi è che la gente non fosse poi così assetata
di sangue né amasse lo spettacolo della morte in sé. Quello che
appassionava di più era un combattimento avvincente.
Le Naumachie
La storia del Mediterraneo in generale, e dell'espansione romana in
particolare, è costellata di grandiose battaglie navali. Oggi, per far
rivivere al pubblico le emozioni e la terribile grandiosità di quegli
scontri si girerebbero dei magnifici film ricchi di effetti speciali. Ciò
non era ovviamente possibile in epoca romana, ma si potevano riprodurre,
in scala ridotta, le grandi battaglie navali del passato come forma di
spettacolo per il pubblico.
Anche le naumachie, come i combattimenti di gladiatori, divennero
popolarissime, ed editor e imperatori, per ingraziarsi il sostegno
popolare, ne organizzarono di maestose investendo fortune in denaro.
In realtà le naumachie si svolgevano in bacini naturali o creati
appositamente fuori dai centri abitati. Tra i primi a
organizzarne vi fu Giulio Cesare. Per il suo trionfo nel
46 a.C. scavò un bacino artificiale in Campo Marzio. Augusto,
nel 2 a.C., fece scavare un enorme lago artificiale di più di 500 metri di
lunghezza e riempito da un acquedotto appositamente costruito. Vi fece
rivivere lo scontro tra greci e persiani nella battaglia di Salamina. 60
navi tra triremi e biremi si affrontarono con un totale di 3000 uomini
imbarcati.
Anche l'imperatore Claudio organizzò una grandiosa
naumachia sul lago Fucino nel 52 d.C. così come Nerone.
Chi si affrontava nelle naumachie erano per lo più schiavi, carcerati,
condannati a morte. In molti perivano affogati o schiacciati dai rostri
delle navi.
Negli anfiteatri
In occasione dell'inaugurazione del Colosseo nell'80 d.C. sappiamo che
vennero organizzate delle naumachie. Gli storici ancora discutono se il
livello dell'allagamento fosse sufficiente per far galleggiare piccole
imbarcazioni o se dei carri decorati come barche si muovessero su ruote
nascoste da poche spanne d'acqua.
In ogni caso l'impresa doveva essere molto complicata e costosissima e,
quando vennero realizzati i livelli sotterranei, divenne impossibile.
Nell'Arena di Verona
Non sappiamo se anche l'Arena di Verona venne mai allagata per svolgervi
delle naumachie. Scavi archeologici hanno portato alla luce un complesso
sistema di tubature sotterranee in piombo che collegava l'anfiteatro al
fiume Adige. Molti studiosi tuttavia ritengono che non servisse a
riempirla, bensì per drenare l'acqua piovana.
Secondo alcune ipotesi settecentesche mai confermate, le
naumachie a Verona si svolgevano sul fiume Adige, tra il ponte Pietra e
il ponte Postumio. Un sistema di paratie rallentava la corrente
permettendo alle imbarcazioni di manovrare. Il pubblico si sistemava sulla
scena del teatro Romano che sorge sulla sponda sinistra in corrispondenza
del tratto, o su apposite gradinate costruite sulla sponda destra.
Figure Chiave
L'Editor (l'Organizzatore)
L'editor era l'organizzatore dei giochi e ne sosteneva tutti i costi: acquisto e trasporto degli animali, gladiatori, scenografie, velarium e cibo per gli spettatori, ecc.
In età repubblicana era di solito un ricco cittadino romano con ambizioni politiche. In età imperiale i giochi erano organizzati dall'imperatore o dai magistrati, amministratori locali che pagavano di tasca propria.
Uno spettacolo di medio livello all’epoca di Cesare poteva costare 8.000 sesterzi.
La conversione di un sesterzio va dai 2 ai 6 euro a seconda dei complessi calcoli con cui si interpretano e attualizzano le fonti.
All’epoca di Marco Aurelio (II d.C.) servivano 40.000 sesterzi (tra gli 80.000 e i 240.000 euro). Il costo dei gladiatori era proporzionato all'abilità e fama. Se morivano in un combattimento l'editor doveva risarcirne il valore al lanista.
Il Lanista
Il combattimento di gladiatori, da pratica legata ai riti funebri, col tempo si trasformò in puro intrattenimento. Spettacoli sempre più grandiosi che coinvolgevano centinaia di uomini che si affrontavano negli anfiteatri. Gli organizzatori di giochi avevano una costante necessità di abili combattenti che fece nascere un nuovo business, quello del lanista, ossia il procuratore di gladiatori. La parola lanista deriva da lanius che significa macellaio e rende molto chiaramente idea del loro ruolo.
Il lanista acquistava schiavi da addestrare alle regole e tecniche di combattimento, oppure ingaggiava uomini che decidevano di fare il gladiatore come professione. Un lanista poteva avere decine o centinaia di gladiatori nella sua familia, dei quali disponeva come meglio credeva, affittandoli o vendendoli.
Il lanista si occupava anche degli ingaggi, mettendo "sul
mercato" i suoi uomini e proponendoli a chi stava organizzando uno
spettacolo di gladiatori, proprio come oggi fa un impresario o un
procuratore calcistico. L'editor pagava l'affitto dei gladiatori
al lanista. Il costo cambiava in base all'età, all'abilità, alla fama dei
guerrieri ed era oggetto di trattative serrate. Se un gladiatore
moriva in combattimento, l'organizzatore doveva rimborsare al lanista il
prezzo dell'uomo.
Esistevano lanisti itineranti, che si spostavano di
città in città con i loro gladiatori per farli esibire negli anfiteatri
delle varie città dell'impero affittandoli al miglior offerente.
Gli Spettatori
L’ingresso agli spettacoli era libero, offerto dagli
organizzatori. I posti a sedere erano assegnati a
seconda del censo. In ordine: senatori e vestali, cavalieri, e
via via più lontani dall'area di combattimento, plebei, schiavi e
stranieri. Agli spettatori veniva consegnato all’ingresso un contrassegno
in legno, osso o piombo con l’indicazione del settore in cui sedersi,
l’ordine di posti e la fila.
Durante la pausa del mezzogiorno potevano uscire per andare alle taverne
oppure mangiare sugli spalti ciò che veniva offerto dagli organizzatori.
Al termine degli spettacoli ricevevano souvenir offerti dallo sponsor come
monete o generi alimentari.
Il pubblico partecipava attivamente allo spettacolo, con una
tifoseria accesa tanto che sulle gradinate potevano scoppiare
risse di una violenza paragonabile a quella che c'era all'interno
dell'arena.
Questo famoso affresco di Pompei mostra una rissa scoppiata tra tifosi di Pompei e quelli di Nocera nel corso di giochi gladiatorii. L'episodio avvenne nel 59 d.C., confermato da varie fonti storiche. Ci furono morti e feriti tra il pubblico. L'affresco è particolarmente dettagliato e realistico. È chiaramente rappresentato l'anfiteatro di Pompei con la caratteristica rampa, il velarium e sulla destra la palestra con piscina.
Le tipiche grida di incitamento erano Verbera!
Ure! Iugula! cioè
"Picchialo", "Brucialo", "Sgozzalo!".
Esisteva anche un florido mercato di gadget. Lucerne,
piatti, coppe, coltelli, oggetti di uso quotidiano decorati con figure
di gladiatori famosi.
L'arbitro - Rudis
I combattimenti avevano delle regole. Non sono giunti
documenti che permettano di ricostruirle, ma non è difficile immaginare
che fossero simili a quelle tuttora in uso per le arti marziali.
Combattimento leale, niente colpi a tradimento, distanziamento quando lo
scontro è bloccato, interruzione quando uno dei due opponenti si arrende,
ecc. Essendoci delle regole c'era anche chi le faceva rispettare cioè
l'arbitro. Era vestito con un'ampia tunica decorata con due lunghe strisce
verticali. Per dare indicazioni ai gladiatori si serviva di un
lungo bastone che gli permetteva di mantenersi a una certa
distanza così da evitare pericolosi colpi accidentali. Per questo il suo
nome era rudis, cioè "bastone".
L'arbitro poteva essere un ex gladiatore.
Gli inservienti
Negli anfiteatri c'era un vero e proprio esercito di addetti e
inservienti che svolgevano tutte le complesse operazioni
necessarie per un corretto svolgimento del munus.
C'erano gli addetti alla sicurezza che presidiavano gli
ingressi e controllavano che sugli spalti non si passasse dal tifo "alla
violenza da stadio". Spesso la sicurezza era affidata a soldati
dell'esercito.
C'erano gli addetti che tenevano i cartelli con i nomi dei
gladiatori, dell'editor, o con il programma della giornata.
C'erano gli operai della macchina scenica: quelli che
facevano entrare o uscire gli animali, quelli che operavano gli ingranaggi
delle botole e dei sistemi di sollevamento per l'ingresso spettacolare dei
gladiatori. C'erano gli addetti alla pulizia dell'arena
tra un incontro e l'altro; aggiungevano sabbia fresca e la spianavano.
C'erano i musicisti che intrattenevano il pubblico.
C'erano perfino gli addetti all'incitamento dei gladiatori,
che poteva arrivare a frustare e bruciare con ferri roventi i contendenti
se non mostravano sufficiente coraggio ed energia.
E poi i massaggiatori, gli armaioli, i
sarti per i costumi, amministratori, contabili,
ecc.
Come il Calcio
Sorprendono certe analogie con il mondo del calcio. Di
solito i gladiatori si affrontavano solamente se erano dello stesso
livello, come nelle partite di calcio: serie A, serie B.
Gli allenatori erano spesso rudiarii, ex
gladiatori che facevano il mister una volta ritiratisi.
A gestire i ludi erano i lanisti sorta di procuratori
che selezionavano gli schiavi più promettenti, li addestravano, li
sottoponevano a diete particolari e poi li affittavano ai grandi
personaggi politici o a ricchi privati. Gli
editores erano coloro che
sponsorizzavano gli incontri per averne un ritorno di immagine,
un po' come gli attuali presidenti delle squadre di calcio.
L'Anfiteatro
Inizialmente i combattimenti di gladiatori si svolgevano in spazi
aperti e nelle pubbliche piazze: i fori. Man mano che i giochi
divennero sempre più popolari, richiamando un gran numero di spettatori,
si incominciarono a costruire spalti in legno temporanei e balconate che
venivano montate sugli edifici attorno al foro per permettere di vedere a
un maggior numero di persone.
Verso la fine del II secolo il ruolo sociale degli spettacoli divenne tale
che si pensò di costruire edifici completamente dedicati a questa
attività. I primi anfiteatri sorsero in Campania,
dove i giochi probabilmente avevano avuto origine. Il più antico
è quello di Capua, presto seguito da quelli di Pozzuoli, Cuma,
Paestum, Nola, Pompei dove sorge il più antico ancora esistente. Da lì si
diffusero in tutto il mondo romano.
La struttura
Alla base della forma dell'anfiteatro vi è il teatro antico,
già molto diffuso nell'Italia meridionale colonizzata dai greci.
Spettacoli sempre più grandiosi e affollati richiedevano però più spazio
per il pubblico e la struttura semicircolare del teatro greco venne quindi
raddoppiata per creare una struttura ellittica che, non avendo
angoli ciechi, permetteva a tutti di vedere bene. In questo
modo veniva però sacrificata la sofisticata acustica del teatro greco.
Le sostruzioni
Il teatro greco era appoggiato ai pendii naturali delle colline. In
questo modo però l'edificio era vincolato a luoghi che avessero una
particolare conformazione del terreno.
Ingegneri e architetti romani idearono un sistema autoportante che
permetteva di costruire teatri e anfiteatri ovunque: la sostruzione.
Si trattava di grandi muri obliqui disposti a raggiera che
riproducevano artificialmente il pendio della collina
sostenendo le gradinate. Nasceva così l'anfiteatro: ossia doppio teatro.
La Cavea
Lo spazio delle gradinate destinate al pubblico aveva
ancora il nome che si usava per il teatro: cavea.
Questa era divisa in settori orizzontali concentrici: i maeniana,
separati da camminamenti: praecintiones. Si
distingue così una ima cavea, il settore più
vicino all'area di combattimento, una media cavea,
una summa cavea, il settore più in alto e più
lontano. Ciascun settore è riservato a un diverso ceto sociale secondo una
scala gerarchica dai patrizi che siedono dove si vede meglio, via via fino
a schiavi e stranieri che prendono posto nella parte più distante
dall'azione. Tra i diversi settori può esserci un parapetto divisorio: il
balteus.
Ciascun maenianum è diviso verticalmente in "spicchi" che
possono contenere circa 400-500 spettatori. Ciascuno di questi settori ha
il suo accesso: il vomitorium, così chiamato
perché "vomitava" sulle gradinate il pubblico impaziente di prendere
posto. Da ciascun fornice (ingresso esterno
dell'anfiteatro), un complesso sistema di scale porta a un vomitorium.
In questo modo il pubblico entra ed esce molto rapidamente ed
efficientemente dall'edificio.
Varie strisce di gradini più piccoli disposti a raggiera detti scalaria
rendono più agevoli gli spostamenti in su o in giù all'interno di un
settore.
L'Arena
Al centro dell'anfiteatro c'è l'area di combattimento chiamata arena,
che in latino significa "sabbia". La superficie era di
solito costituita da robuste tavole di legno ricoperte di sabbia. La sabbia
dava maggior aderenza ai piedi dei gladiatori e alle zampe
degli animali che così non scivolavano, ma soprattutto rendeva
più facile la pulizia. La sabbia infatti assorbe i liquidi,
come sangue ed escrementi di animali, che potevano essere rimossi più
facilmente o coperti con nuova sabbia tra un incontro e un altro.
L'arena era circondata da un muro detto podium,
che la separava dalle prime gradinate. Per proteggere ulteriormente gli
spettatori dalle belve selvatiche poteva esserci un'ulteriore
balaustra, pali e reti. Nel muro del podium c'erano aperture
e archi per far entrare animali e gladiatori.
Sotto l'arena poteva esserci un complesso di gallerie e passaggi
per ospitare materiali e macchinari di scena, botole e
altri sistemi che aggiungevano spettacolo con uscite improvvise di
gladiatori o belve. Nel Colosseo a Roma dove la copertura
dell'arena è andata perduta, queste gallerie sono chiaramente visibili.
Nell'Arena di Verona, ci sono solo due lunghi corridoi sotterranei che si
incrociano perpendicolarmente. Non sono al momento accessibili.
Il Velarium
Senza gas o elettricità, in epoca romana non esisteva un sistema
di pubblica illuminazione. La vita sociale si svolgeva
quasi esclusivamente di giorno, dall'alba al tramonto. Non
facevano eccezione gli spettacoli di gladiatori. Sarebbe però stato
impossibile per il pubblico resistere tutto il giorno sotto il Sole,
soprattutto in estate. Gli anfiteatri erano quindi coperti da una
grande tenda circolare detta velarium posta sopra gli
spalti per fare ombra sul pubblico.
Il velarium era costituito da spicchi di tessuto simili
a vele (da cui il nome) tenuti insieme e tesi da un complesso
sistema di pali, corde, carrucole. Per issarlo e gestirlo erano
chiamate intere ciurme di marinai abituati a questo tipo di
operazioni sulle imbarcazioni a vela.
Il velarium era talmente importante per un munus ben
riuscito che nei manifesti, negli annunci e nel programma della giornata
veniva espressamente riportato se fosse o meno presente.
I Gladiatori
Prigionieri di guerra
Nella fase di massima espansione dell'impero la maggior parte
dei gladiatori erano prigionieri di guerra. Sanniti,
daci, traci, galli, germani,
giudei che sfilavano negli anfiteatri con il loro aspetto
esotico esaltando agli occhi degli spettatori le straordinarie conquiste
di Roma.
I guerrieri che sapevano già maneggiare le armi erano gettati direttamente
nell'arena, gli altri venivano venduti al lanista che li addestrava.
Schiavi
Ogni schiavo poteva diventare un gladiatore se veniva venduto a un lanista. Di solito l'impresario sceglieva quelli che avevano le caratteristiche psicofisiche adatte al duro allenamento e al combattimento. Se sopravviveva e vinceva poteva sperare di affrancarsi e trovare la libertà.
Condannati
Alcune condanne per reati comuni potevano prevedere la damnatio ad ludum, ossia la condanna a combattere nei giochi, contro bestie feroci come cacciatori o contro altri uomini come gladiatori. Se dopo tre anni i condannati erano ancora vivi venivano dispensati dai combattimenti, e dopo cinque riacquistavano la libertà. Chi fisicamente e caratterialmente aveva potenzialità per diventare un buon gladiatore veniva prima allenato e avrebbe avuto maggiori possibilità di sopravvivenza. Gli altri venivano buttati direttamente nell'arena senza alcun addestramento e per loro la sorte era quasi sempre segnata fin dal primo incontro.
Gladiatori per scelta
Vi erano poi liberi cittadini che per motivi economici o spirito
di avventura decidevano liberamente di diventare gladiatori.
Questi stipulavano un vero e proprio contratto con il lanista
chiamato auctoramentum. Per un periodo di tempo
determinato, il gladiatore volontario sarebbe stato assoggettato alla
volontà del lanista quasi come uno schiavo. Poteva subire punizioni
corporali e avrebbe combattuto contro avversari che non poteva scegliere.
In cambio riceveva un'ingente somma di denaro e ulteriori premi economici
in caso di vittoria.
All'inizio questa scelta era considerata infamante e moralmente
disprezzata dalla società. Col tempo, e sotto imperatori come Commodo che
combattevano essi stessi negli anfiteatri venne sempre più accettata.
Vi erano addirittura patrizi e senatori che, pur senza assoggettarsi a un
lanista, decidevano di cimentarsi anche solo una o due volte nell'arena in
cerca di gloria e fama.
I Ludi: le Scuole Gladiatorie
I gladiatori vivevano e si allenavano all'interno di appositi edifici
detti ludi, gestiti direttamente dal lanista che oltre
all'addestramento e allenamento forniva ai suoi uomini vitto, alloggio,
cure mediche.
La prima scuola gladiatoria, e certamente la più famosa, fu quella di
Capua, fondata attorno al 105 a.C..
I ludi erano una via di mezzo tra una prigione, una caserma e una
palestra. Spesso al loro interno c'era la riproduzione di
un'arena o addirittura di un piccolo anfiteatro dove un pubblico ristretto
poteva assistere alle esercitazioni.
In età imperiale, le scuole gladiatorie più grandi arrivarono a contare
migliaia di uomini e passarono sotto il diretto controllo dello stato
poiché avrebbero potuto costituire un vero e proprio esercito privato di
abilissimi e coraggiosi combattenti. I lanisti continuarono a gestire
scuole ma il loro ruolo divenne sempre più marginale.
Scuole gladiatorie erano sparse per tutto l'impero, ovunque vi fosse un
anfiteatro di una certa importanza.
Anche l'Arena di Verona aveva un suo ludus. I resti di un
grande edificio di età imperiale che probabilmente aveva questa funzione
sono stati rinvenuti a ridosso dell'anfiteatro, dove oggi sorge il
municipio.
L'Addestramento
Una volta entrati nel ludus (scuola gladiatoria) gli aspiranti
gladiatori imparavano i primi rudimenti delle arti marziali
esercitandosi con una spada di legno detta rudis.
Gli allenatori erano chiamati magister o doctor.
In base alle caratteristiche psicofisiche dei novizi e alle necessità
della scuola il lanista li selezionava per una particolare classe
gladiatoria (vedi più sotto). Da quel momento gli allievi ricevevano un
allenamento specifico per il tipo di armi e tecniche di combattimento
della loro categoria.
L'allenamento era quotidiano e durissimo e rendeva i
gladiatori delle spietate macchine da guerra. Alcuni magister
di ludi vennero addirittura chiamati per addestrare legionari
dell'esercito romano. La formazione ricevuta da Spartaco
e dagli altri gladiatori della scuola di Capua permise loro di sconfiggere
intere legioni romane nel corso delle guerre servili (73
a.C.).
Il Nome
Molti gladiatori decidevano di usare un nome d'arte con
il quale sarebbero stati annunciati negli anfiteatri e, in caso di
vittoria, sarebbero diventati famosi. È quello che anche oggi fanno i wrestler
e i pugili professionisti, ad esempio Iron Mike, Boom Boom Mancini, ecc.
Ci sono pervenuti moltissimi nomi di gladiatori, nelle cronache, scritti
su mosaici, epigrafi, graffiti. I "nomi di battaglia"
potevano ricordare i grandi eroi mitologici. Ed ecco
allora Ettore, Diomede, Castore, Ercole, Bellerofonte, Orfeo, Icaro,
Eteocle, Polinice. Oppure descrivere le doti del gladiatore:
Habilis, Ferox, Triumphus, Victorinus, Serpentius, Leo, Tigris, Pardus.
Altri sceglievano nomi che davano fascino e prestigio
come Beryllus, Smaragidus, Ametystus, Aureolus.
Alimentazione
L'alimentazione di un gladiatore era particolarmente nutriente per dare
loro la forma fisica e le energie necessarie a sostenere i pesantissimi
allenamenti e a fare combattimenti spettacolari.
Il cibo doveva però essere anche economico per non gravare troppo sulle
tasche del lanista.
Alla base dell'alimentazione di un gladiatore vi era l'orzo,
preparato in forma di zuppa che non mancava mai nelle mense delle scuole
gladiatorie.
La carne era costosa, e le proteine venivano quindi fornite
principalmente da legumi e, qualche volta, da uova e formaggio.
La Fama
I graffiti sui muri di Pompei offrono una testimonianza della popolarità
dei gladiatori. Si possono ancora leggere inni e lodi ai propri eroi dai
nomi evocativi: Ferox, Leo, Tigris…
Come per i calciatori al giorno d’oggi la maggior parte non raggiungeva
mai il successo, ma chi riusciva a fare fortuna poteva contare sul
riscatto e gloria.
I gladiatori avevano un grande
ascendente sulle donne. Nelle Satire di Giovenale si parla di
un certo gladiatore Sergiolus, brutto e coperto di cicatrici, ma in grado
di far perdere la testa alle matrone. Una tale Eppia abbandonò il marito
per fuggire con lui.
Nella scuola gladiatoria di Pompei fu rinvenuto il corpo di una donna ingioiellata, sicuramente una ricca matrona. La comune spiegazione è che fosse tra le persone che si rifugiarono nel ludus durante l'eruzione. Ma pare che non fosse così raro che le amanti dei gladiatori trascorressero con loro la notte.
Le leggende sul vigore dei gladiatori diedero vita business
collaterali come la vendita di sangue o sudore dei combattenti
che si diceva avessero effetti afrodisiaci e guarissero da
malattie.
Alcuni gladiatori divennero così noti che andavano in giro in tournée: a
Benevento un’iscrizione parla di un gladiatore straniero giunto
addirittura da Colonia. Anche per questi motivi vi furono uomini liberi
che intrapresero la carriera di gladiatori.
L'Infamia
Nonostante la fama e la gloria che potevano avere i gladiatori di
successo, essi erano comunque cittadini di serie B, sia
che fossero schiavi, sia che fossero liberti, stranieri o cittadini romani
desiderosi di ottenere fama e gloria nell'arena. Venivano
etichettati come infami, così come mimi, attori, e
tutti coloro che si esibivano per il divertimento del pubblico,
rinunciando al contegno che doveva avere un onorevole cittadino
romano.
Da un lato vi era l'ammirazione che suscitava la loro
forza, abilità e coraggio, proprio come avviene oggi per i grandi
personaggi dello sport. Dall'altro vi era il disprezzo
per la loro condizione sociale.
Stile di Vita
Dalle epigrafi e dalle analisi delle ossa di gladiatori rinvenute in
alcune sepolture, si è calcolato che raramente un gladiatore
arrivava al trentesimo compleanno. Molti non sopravviveva al
primo anno di attività.
La vita nel ludus era durissima, improntata alla più
rigida disciplina. La sorveglianza strettissima,
soprattutto per la maggior parte dei gladiatori che erano schiavi. Le
punizioni corporali erano all'ordine del giorno: per chi non
ubbidiva, per chi non si impegnava, per chi mostrava codardia negli
incontri.
Nella sua carriera un gladiatore poteva combattere da 5 a 30 volte. In
media da 2 a 4 volte l’anno.
Le condizioni di vita stressanti e la continua paura della morte tra
atroci sofferenze rendevano i suicidi tra i gladiatori molto
comuni. Anche per questo la sorveglianza era strettissima. Per
il lanista, la perdita di un gladiatore, era un danno economico.
Le tombe di Efeso
Ne 1993, a Efeso, nell'attuale Turchia, scavi archeologici in
un'antica necropoli hanno portato alla luce gli scheletri di circa 70
gladiatori.
Con le moderne tecnologie è stato possibile compiere indagini mediche che
hanno fornito preziose informazioni sulle caratteristiche fisiche, sullo
stile di vita e sulle cause di morte dei gladiatori nel II secolo d.C.
L'età media è di circa 35 anni. I segni sulle ossa
mostrano chiaramente le cause di morte: tridenti, armi
appuntite, punteruoli oppure la mazza e il martello di caronte
che finiva i gladiatori agonizzanti fracassandone il cranio.
La densità e lo spessore delle ossa indicano che avevano una
possente muscolatura sostenuta da robusti tendini, proprio come
i moderni atleti professionisti, sviluppata nei duri
allenamenti quotidiani.
L'altezza era sotto il 1 metro e 70 centimetri, in linea
con la media dell'epoca.
La conformazione dei piedi indica che camminavano, e quasi
certamente combattevano, scalzi.
L'analisi chimica delle ossa ha evidenziato basse percentuali di zinco
(derivante da proteine animali) e alto contenuto di stronzio (proveniente
da legumi, cereali, latte). I gladiatori erano praticamente
vegetariani. Il tipo di alimentazione era studiato per
rinforzare e guarire più velocemente le ossa oltre ad essere
più economica rispetto alla dieta carnivora. Il piatto forte era la sagina,
una zuppa d’orzo con legumi bagnata con vino e aceto.
Integravano la loro dieta con birra d’orzo miscelata a cenere
d’osso e legno carbonizzato (per rinforzare le ossa). Questo
tipo di alimentazione molto calorica probabilmente li rendeva grassotelli.
Il grasso funzionava da cuscinetto per i colpi e faceva sanguinare
maggiormente le ferite.
Le analisi hanno inoltre rilevato molte fratture correttamente
rimarginate. Ciò indica che le ferite erano ben curate
anche con interventi chirurgici. Il famoso medico Galeno
del II sec d.C., lavorò come chirurgo nel ludus di Pergamo.
Il Ritiro
Dopo un certo numero di incontri, se era ancora in vita, il gladiatore poteva ricevere il rudis, una spada di legno simile a quella che si utilizzava negli allenamenti. Diventava quindi un rudiarius. Da questo momento smetteva di combattere ma, se era uno schiavo, non necessariamente riacquistava la libertà. Spesso restava nel ludus come allenatore, inserviente, o diventava un arbitro.
Le Classi Gladiatorie
I gladiatori si dividevano in numerose tipologie, a seconda del tipo di
armatura e armi che utilizzavano.
Dalle origini alla fine dei giochi gladiatorii a Roma trascorrono 6-7
secoli. Il ruolo e i significati dei combattimenti cambiano nel
tempo così come i nomi e le caratteristiche dei combattenti. Le
classi gladiatorie vengono definitivamente codificate ai tempi di
Augusto nel I secolo d.C. Acune scompaiono, altre vengono
modificate.
Inizialmente i gladiatori combattevano con armi e armature molto simili a
quelle dei soldati: un elmo con para-guance ma aperto sul viso per dare
una buona visibilità, un grande scudo e la spada. I nomi delle
categorie riflettevano quelle dei popoli che erano stati sottomessi da
Roma: sanniti, galli, traci, ecc. Il motivo era politico, si
celebrava così la potenza di Roma su tutte le genti. Col tempo
però questi popoli vennero assimilati all'impero. Divenne
quindi politicamente sconveniente disprezzarli
identificandoli con dei gladiatori.
Man mano che i combattimenti diventavano una pura forma di intrattenimento, armi, armature e classi gladiatorie subirono importanti modifiche per favorire lo spettacolo.
Equipaggiamento
Nella maggior parte dei casi i gladiatori combattevano a torso nudo. In questo modo il pubblico poteva vedere ferite e sangue. L'abbigliamento si limitava al subligaculum cioè un perizoma trattenuto da una cintura (balteus). L’armatura differiva in base alla classe di appartenenza, ma in genere comprendeva:
- Galea, l'elmo in bronzo. A differenza dell'elmo militare quello da gladiatore era chiuso sulla faccia. Negli scontri causava spesso abrasioni al volto e la rottura del setto nasale. La visione, per quanto limitata, era garantita da fori o grate all'altezza degli occhi. Una caratteristica visiera metallica girava tutto attorno all'elmo proteggendo dai colpi laterali. Alcuni elmi erano sormontati da un ampio cimiero piumato (crista) e dotati di due boccole laterali per infilare penne colorate e rendere i gladiatori identificabili anche dai posti più lontani. Forme e decorazioni variavano leggermente a seconda del tipo di gladiatore che lo indossava e potevano essere molto elaborate, con cesellature e bassorilievi a sbalzo. Alcuni erano addirittura dorati e venivano probabilmente usati nella parata iniziale.
- Manica: copertura costituita da un’imbottitura di strati di stoffa o cuoio per proteggere il braccio più esposto nel combattimento. Nel II sec. d.C. furono introdotte anche maniche in metallo di solito lavorato a scaglie.
- Schinieri (cnemides od ocrae) a protezione di una o entrambe le gambe. Più lo scudo era piccolo, più gli schinieri erano alti. Sotto lo schiniere veniva posta una fascia o un bendaggio di tessuto imbottito per impedire abrasioni e proteggere ulteriormente.
- Scudo. A parte il retiario e lo scissor (vedi più sotto) i gladiatori erano dotati di scudo. Le dimensioni erano molto variabili. La parmula era un piccolo scudo circolare, lo scutum era più grande, di forma rettangolare o ovale. Potevano avere colori sgargianti ed elaborate decorazioni che aiutavano a identificare il combattente.
- Gladio. Il nome dei gladiatori deriva dal nome della corta spada a doppio taglio dei legionari romani che era l'arma della maggior parte di loro. Più che per i fendenti era utilizzata di punta.
Nel complesso l’equipaggiamento era studiato in modo che nessun
gladiatore prevalesse sull’altro. Ad esempio il retiario aveva tre armi
d’offesa, ma poco con cui difendersi.
A seconda delle epoche e delle zone, potevano esserci numerose variazioni
e commistioni tra le varie classi gladiatorie.
Sannita
È una delle tipologie di gladiatore più antiche e ricordava i guerrieri
sconfitti dai romani nelle sanguinose guerre sannitiche (IV-III secolo
a.C.).
Era armato di un gladio o di una lunga lancia. Lo proteggeva un
grande scudo ovale, un elmo aperto con visiera e paraguance, manica e
schinieri.
Con la riforma delle classi gladiatorie voluta da Augusto nel I secolo
d.C. il sannita scomparve.
Gallo
Non abbiamo rappresentazioni o descrizioni dell'aspetto. Secondo alcuni era solo un modo di nominare i combattenti per evocare le popolazioni che l'esercito romano aveva sconfitto nelle Gallie, celebrandone così le imprese negli anfiteatri.
Questa classe gladiatoria scomparve in età imperiale, sostituita probabilmente dal mirmillone.
Crupellarius
È menzionato solo da Tacito. I crupellari erano combattenti celti completamente ricoperti da
una pesante armatura di placche metalliche. Affrontarono l'esercito romano durante le guerre galliche. Superato il timore iniziale i legionari capirono che i crupellarii erano resistenti ma goffi e lenti e li sconfissero con le scuri e i picconi che usavano per smantellare le mura avversarie durante gli assedi.
Come molti guerrieri degli eserciti sconfitti la figura del crupellarius fu usata nei combattimenti di gladiatori in epoca repubblicana, scoparendo tuttavia in età imperiale.
Trace
Una delle categorie più popolari e durature. Il trace aveva un grande elmo chiuso con visiera e alto cimiero decorato da un grifone. Come arma utilizzava la sica, un lungo pugnale ricurvo molto insidioso. Era protetto da un piccolo scudo tondo o quadrato, da una manica sul braccio che impugnava l'arma e da schinieri alti fin sopra il ginocchio.
Mirmillone
Classe gladiatoria molto diffusa e apprezzata. Il myrmillo era un'evoluzione del gallo. Aveva un grande elmo con cimiero, piume e tesa di metallo, schinieri e manicotto protettivo. Lo scudo era grande e rettangolare, decorato con raffigurazioni di pesci. Per questo era spesso avversario del retiario che con rete e tridente ricordava proprio un pescatore.
Retiario
Tra le classi gladiatorie più diffuse. Il retiario non aveva elmo, armatura e scudo. L'unica protezione era il galerus, un copri-spalla in metallo con un'alta piastra verticale per proteggere il collo. Senza il peso dell'armatura era agile, veloce e resistente.
La sua arma era un lungo tridente, con cui colpiva l'avversario stando a distanza. Per gli scontri ravvicinati e il corpo a corpo
aveva invece il pugio, un pugnale molto insidioso.
La caratteristica principale era però una rete che usava per immobilizzare l'avversario.
Era molto popolare e sostenuto dalle folle poiché, non avendo l'elmo, era l'unico gladiatore di cui si vedeva l'espressione durante i
combattimenti.
Secutor
Era il tipico avversario del retiario. La sua armatura era simile a
quella di tanti altri gladiatori, con un grande scudo rettangolare e il
gladio.
Ciò che lo contraddistingueva era però l'elmo con un cimiero piccolo e semplice, privo di
visiera e di ogni altra protuberanza che potesse rimanere impigliata nella
rete del retiario.
Il secutor, come dice il nome, aveva il compito di
inseguire il retiario.
Durante scavi archeologici nell'Arena di Verona è stata rinvenuta la testa con elmo di secutor. Era certamente di una delle statue in pietra che decoravano gli archi dell'anfiteatro.
È oggi conservata al Museo Archeologico del Teatro Romano.
Oplomaco
Uno dei gladiatori più pesantemente armati con uno scudo tondo, un imponente elmo, il gladio e a volte anche una lancia.
L'origine di questa classe gladiatoria sarebbe l'oplita, il tipico guerriero greco.
Risalirebbe all'età repubblicana ma continuò a esibirsi anche in epoca imperiale.
Scissor
Aveva un elmo ovoidale e liscio, simile a quello del secutor, che non si
impigliava facilmente nella rete del retiario suo avversario più
frequente. In una mano stringeva il gladio, l'altra era infilata in un
tubo metallico che terminava con una mezzaluna affilata con cui poteva
tagliare la rete del retiario o pararne i colpi.
Non aveva scudo. La protezione del torso era garantita da un'armatura di lamelle metalliche.
Provocator
La caratteristica distintiva era l'elmo liscio tipo quello del secutor, decorato con due lunghe piume ai lati.
In molte rappresentazioni indossano la tunica (gladiatori tunicati), in alcune appaiono invece a torso nudo. Combatteva quasi sempre con il gladio ed era difeso da uno scudo di medie dimensioni tondeggiante.
Il provocator aveva come avversario un altro provocator oppure il retiario. La sua tecnica di combattimento era pungolare l'avversario cercando di stimolarlo ad attaccare, da cui il nome.
Andabata
Non si sa molto di questo gladiatore di cui ci sono vaghe descrizioni e nessuna raffigurazione. Si trattava di un gladiatore pesantemente armato e protetto ma con una visiera che gli copriva completamente gli occhi impedendogli di vedere alcunché. Secondo alcuni non era una tipologia di gladiatore, ma solo un tipo di spettacolo in cui uno dei gladiatori veniva bendato. Proprio come nella raffigurazione della tomba etrusca.
Doveva quindi combattere alla cieca, cercando di intuire le mosse dell'avversario dai rumori o forse dalle grida del pubblico.
Essedarius
Era il gladiatore che combatteva sui carri (essedae). Spesso si affrontavano tra di loro. Non sono giunte raffigurazione di questa classe gladiatoria per cui non si conoscono i dettagli dell'armatura e delle modalità di combattimento.
Equites
Anche dei combattenti a cavallo si sa poco. Probabilmente si affrontavano prima in groppa al destriero e poi, una volta atterrati, a piedi. Utilizzavano la spatha, una lunga spada con cui si colpisce di taglio. Normalmente aprivano la sessione di combattimenti pomeridiani dedicata proprio ai gladiatori.
Gladiatrici
Un bassorilievo rinvenuto ad Alicarnasso mostra quelle che a tutti gli effetti paiono essere due gladiatrici. Alcune fonti sembrano confermare che effettivamente alcune donne divennero gladiatrici per passione e quindi per scelta (a differenza degli uomini che erano per lo più stranieri, schiavi…). Vi erano anche ricche matrone spinte dal desiderio di gloria e dalla voglia di dare un taglio alla monotonia. La prima testimonianza si ha nel 66 d.C. quando secondo lo storico Tacito, l’imperatore Nerone diede ordine al liberto Patrobio di organizzare degli spettacoli in onore del re d’Armenia Tiridate. Domiziano le fece combattere contro i nani, gli unici uomini contro cui potevano combattere le donne. Ovviamente il fenomeno non era socialmente approvato e vi furono numerose leggi atte ad arginare il fenomeno (Giovenale – senatoconsulto dell’11 d.C. vietava alle ragazze con meno di 20 anni di esibirsi).
La Venatio
Nelle giornate di spettacolo negli anfiteatri, la mattina era dedicata ai combattimenti tra uomini e animali: le cacce.
Era uno spettacolo amatissimo dal pubblico, secondo solo agli scontri tra
gladiatori.
All'origine delle venationes ci fu lo spettacolo del 252 a.C. che ebbe per
protagonisti 142 elefanti catturati ai cartaginesi a Palermo nel corso
delle guerre puniche. I romani non sapevano come utilizzare questi immensi
animali e pensarono di immolarli nel circo massimo per il piacere degli
spettatori. La cosa assunse anche un significato simbolico perché
rappresentava la vittoria di Roma sui cartaginesi.
In seguito incominciarono ad apparire le belve feroci
provenienti da Asia e Africa, e dal circo lo spettacolo si
trasferì negli anfiteatri. Il popolo adorava animali esotici e
pericolosi e molti politici sfruttarono la cosa per ottenere
popolarità e consenso. Nel 93 a.C. Silla fece arrivare cento leoni, e
altrettanti orsi offrì nei giochi Domizio Enobarbo. Emilio Scauro nel 58
a.C. fece giungere addirittura un ippopotamo e Pompeo un rinoceronte. Per
il trionfo di Cesare vennero massacrati 400 leoni e 20 elefanti. E poi antilopi,
iene, sciacalli, struzzi,
gazzelle, coccodrilli, giraffe,
ghepardi, pantere, perfino tigri
dall'India.
Fare giungere gli animali vivi e in forze da terre così remote
aveva costi esorbitanti. Gli organizzatori cercavano di
economizzare usando pochi animali esotici e facendo numero con più
economici cinghiali, lepri, caprioli, lupi, tori e bisonti nostrani.
La venationes alimentavano una fiorente attività economica di
cattura, trasporto via terra e via mare, nutrimento, intermediazione e
compravendita.
Le Scenografie
La venatio non era un semplice massacro ma doveva intrattenere il
pubblico con coreografie e ingressi spettacolari.
Nell'arena venivano riprodotti gli esotici ambienti naturali dove
vivevano le bestie, con alberi, arbusti, ecc. Le uscite in
scena degli animali erano scandite da una precisa regia con botole
e grate che venivano sollevate al momento opportuno.
Vi erano combattimenti tra sole belve selezionate per creare scontri
ferocissimi e stupire il pubblico. Orsi contro tori, elefanti contro
leoni, leoni contro tigri, ecc.
Prove d'Abilità
Alcuni degli spettacoli con gli animali erano delle prove di abilità e addestramento, proprio come accade al circo. Gli animali si esibivano in inchini, balletti, coreografie con il domatore.
La caccia
La venatio vera e propria era condotta da un venator,
ossia un cacciatore, una specie di gladiatore appositamente
addestrato a questo spettacolo. Era vestito con una tunica
corta che non ne impedisse i movimenti. Come arma aveva una
lancia, a volte arco e frecce, oppure un gladio. Alcuni
inservienti avevano il compito di pungolare l'animale, esasperandolo e
rendendolo più feroce.
Animali selvatici, escrementi, sangue, interiora. L'odore
nell'anfiteatro alla fine delle venationes è difficile anche solo da
immaginare. Doveva mettere a dura prova le narici e gli stomaci
del pubblico che pure era abituato al fetore di una tipica città romana. Inservienti
erano addetti a rimuovere rapidamente le carcasse dopo la venatio,
spargere nuova sabbia e spruzzare l'ambiente con acqua mista a
zafferano e profumi per contenere il tanfo.
Condanne a Morte
Eseguire in pubblico le condanne a morte era una pratica molto diffusa in
passato e lo è ancora oggi in molti paesi dove vige la pena capitale.
L'idea di fondo è che se la gente assiste a ciò che succede a chi si
macchia di certi crimini sarà meno propensa a commetterne.
Dev'essere stato questo il principio inizialmente alla base delle condanne
a morte eseguite negli anfiteatri, tra le venationes del mattino
e i combattimenti di gladiatori del pomeriggio.
Rapidamente però l'uccisione dei condannati a morte si trasformò
in una sadica e spietata forma di puro intrattenimento. Come
per gli altri spettacoli dell'arena, anche le esecuzioni venivano
inserite in un contesto scenografico legato a miti e leggende.
Tipico era il condannato cui veniva messa una cetra in mano per
interpretare Orfeo che ammansisce gli animali selvatici
con la sua musica. In questo caso però le belve feroci immancabilmente
sbranavano il poveretto. Altri venivano agghindati con ali posticce e
gettati da un alta impalcatura per rievocare lo schianto di Icaro.
Anche Prometeo incatenato con l'aquila che gli mangia il fegato era un
tema rievocato.
Damnatio ad bestias
Normalmente venivano condannati ad essere sbranati dalle fiere i
traditori e i rivoltosi che non si erano sottomessi
all'autorità romana, ma se c'era necessità si prendevano anche criminali
comuni. La condanna ad besitas poteva essere inflitta dal
giudice come aggravante della pena di morte. Era di
solito riservata a stranieri, schiavi, persone di infimo stato sociale.
Era raro che colpisse un cittadino romano che, se condannato a morte, era
ucciso con un rapido e più dignitoso colpo di spada.
I condannati sfilavano nella parata iniziale, nudi, con cartelli appesi al
collo che indicavano il crimine commesso.
Al momento giusto potevano essere legati a pali o lasciati liberi
nelle arene per essere inseguiti da leoni, tigri, pantere o tori
inferociti.
Martiri Cristiani
Tra i condannati ad essere sbranati negli anfiteatri vi furono anche
molti dei primi cristiani.
Già con Giulio Cesare, e ancora più con Augusto, l'imperatore
romano venne divinizzato. La divinizzazione dell'imperatore
divenne una pratica comune per aumentare autorità e prestigio dell'impero
stesso, retto da un dio vivente.
I cristiani, a partire dal I secolo si erano andati diffondendo in molti
dei territori controllati da Roma. Erano monoteisti, e si
rifiutavano quindi di prostrarsi, fare offerte rivolgere preghiere alle
statue degli imperatori. Ciò era visto come una destabilizzante
forma di infedeltà alle istituzioni e severamente condannato come
tradimento. I cristiani vennero condannati ad bestias
per tutto il corso del II e III secolo. Nel 313 d.C., quando
ormai la nuova religione era molto diffusa, col famoso editto di Milano, l'imperatore
Costantino pose fine alle persecuzioni.
Conclusioni
I gladiatori e tutto il mondo che ruotava attorno ai combattimenti nelle
arene sono uno degli aspetti che maggiormente affascinano
dell'epoca romana. Gli anfiteatri, con il Colosseo tra tutti,
ci lasciano ancora a bocca aperta per le loro dimensioni.
Quella strana attrazione per la violenza come forma di spettacolo
è tuttora presente nella società, sebbene ritualizzata e
privata il più possibile dei rischi connessi. Pugilato, wrestling, arti
marziali, videogiochi splatter, film d'orrore e d'azione.
Non dovrebbe quindi stupire quel miscuglio di attrazione e orrore
che proviamo a leggere delle disumane sofferenze che venivano inflitte a
gladiatori e condannati a morte.
Allo stesso tempo però la leggerezza e il sadismo con cui si praticava e
assisteva a tanta violenza ci fornisce anche la distanza abissale
che ci separa dalla mentalità romana. Studiare i gladiatori e
la loro miserabile esistenza ci ammonisce anche a non dare per
scontate le conquiste ottenute in duemila anni di cristianesimo,
con tutte le sue evoluzioni laiche. Considerare la vita e la
dignità di ogni uomo degna di rispetto e protezione
indipendentemente da nazionalità e appartenenza sociale è ciò che ha
permesso l'abolizione della schiavitù e la fine di uno spettacolo così
crudele come i munera di gladiatori.
Info e prenotazioni:
+39 333 2199 645 info@veronissima.com P.I. 03616420232 C.F. CPPMHL74L13L781C