I Mercatini di Santa Lucia
Ai bambini di Verona giochi e dolciumi nel periodo natalizio li porta Santa Lucia il 13 dicembre.
Questa usanza affonda le radici in un’antica tradizione.
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Narra la leggenda che nel medioevo Verona fu colpita da un’epidemia che causava cecità, soprattutto tra i più piccoli. Le madri chiesero la grazia a Santa Lucia, protettrice degli occhi. Per dare maggior forza alla propria supplica il 13 dicembre avrebbero portato di buon’ora i figli, scalzi, a far benedire gli occhi presso l’altare dedicato alla santa.
Questo si trovava nella chiesa di Sant’Agnese che sorgeva un tempo su un lato della Bra, la piazza dove si trova l’Arena, all’incirca dove oggi c’è il municipio (Palazzo Barbieri).
Non dovette essere facile convincere i bambini a scendere dal letto di buon ora e incamminarsi a piedi nudi in una fredda giornata di dicembre. Per convincerli promisero loro, al ritorno dalla chiesa, dolci e regali. I commercianti di Verona non si fecero sfuggire l’occasione e prima dell’alba del 13 dicembre montarono su piazza Bra le loro bancarelle con dolciumi e giocattoli per intercettare madri e bambini.
Nacque così la tradizione delle bancarelle di Santa Lucia in piazza Bra.
La tradizione continua tutt’ora. Nei giorni immediatamente precedenti il 13 dicembre la piazza si riempie di bancarelle di ogni tipo. Un tempo vendevano principalmente giocattoli e dolciumi. Oggi sono rimasti i dolciumi ma, ahimè, sono sempre meno i giocattoli, sostituiti dalle più svariate idee regalo.
Preparativi
La sera del 12 dicembre i bambini, prima di coricarsi, mettono in tavola pane, tè o latte caldo per Santa Lucia, paglia o qualche carota per l'asinello in groppa al quale arriva la santa che in cambio lascerà i regali e un vassoio pieno di dolci, cioccolato e i tipici biscotti di pastafrolla dalle svariate forme.
Berto Barbarani
L’atmosfera magica e la trepidazione dei bambini veronesi che attendono il mercatino di Santa Lucia è descritta in una celebre opera di Berto Barbarani, poeta dialettale, ispirato cantore della Verona di un tempo ormai andato.
I l'à fati su de note,
co le asse e col martel,
co le tole, mèse rote,
piturade da cortel,
co 'na tenda trata sora
co i lumeti trati là...
L' è così che salta fora
i bancheti de la Brà!
Là, gh'è paste, là, gh'è fiori,
gh’è i zugatoli da un franco,
(i zugatoli da siori)
ma ghi n’è che costa manco;
ghi n'è fin che costa un besso,
e ghi n’è che de val tri...
«Con parmesso, con parmesso,
che vòi vedarli anca mi.»
Le puote bele bianche,
le se buta fora in strada;
un caval da do palanche
l’è drio a trarme una peada...
Sto tranvai co i so vagoni
par che el fassa: fu, fu, fu!...
"Bei maroni, bei maroni,
de comandelo, anca lu?"
Giovanin, l’è meso mato
par sta bela carossina;
"Mandolato! Mandolato!
tuto mandole e farina"
Quanta gente! Che boresso,
drio a ‘na tromba che fa piiiii...
«Con parmesso, con parmesso,
che vòi vedarla anca mi.»
Me morosa picinina
de girar no l'è mai straca;
se la cata una vetrina,
l'è nà pégola che taca;
la roversa fin i oci,
la me sburta e, signor sì,
se badasse a i so zenoci,
cossa mai saria de mi!
Me morosa piassè granda,
la rasona e la me scolta,
mai de mi no la se sbanda,
l'è un piasèr condurla in volta....
La me dise in te una recia:
«No sta spendar, l'è pecà!»
Me morosa piassè vecia,
l'è la prima dela Brà!
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