Turismo del vino. Luci e ombre di un settore in espansione
giugno 2010
L'Italia veniva chiamata dagli antichi greci Enotria, che significa più o meno "terra del vino" stando ovviamente a significare che la nostra penisola era, sin dall'antichità territorio adattissimo alla coltivazione della vite e alla produzione di ottimi vini rinomati in tutto l'allora bacino del mediterraneo.
Nonostante la lunga tradizione vitivinicola del nostro territorio, a parte alcune eccezioni, a secondo dopoguerra inoltrato, ci siamo dovuti far ri-insegnare dagli ammirati/odiati cugini francesi a fare il vino.
La nostra produzione si era infatti troppo concentrata sulla produzione e troppo poco sulla qualità mentre invece oltralpe era da ben più di un secolo che si lavorava all'eccellenza con tecniche enologiche in continua evoluzione, ma soprattutto con leggi per la tutela del vino che hanno fatto scuola in tutto il mondo.
Oggi che i vini italiani hanno raggiunto livelli in grado di farli competere ad armi pari e in alcuni casi addiritura in posizione di superiorità, ci troviamo nuovamente a dover imparare altrove come proporre, comunicare, veicolare il vino e tutto quello che è l'indotto prodotto da questo particolarissimo frutto della terra in particolare per quanto riguarda il turismo enologico.
Molto si è fatto in questi ultimi anni per promuovere il turismo legato alle produzioni gastronomiche locali, e il vino ha avuto certamente un suo ruolo fondamentale come volano di promozione turistica di determinate zone. L'istituzione delle cosiddette "Strade del Vino", l'organizzazione delle giornate "Cantine Aperte", sono solo alcune delle molte iniziative volte a stimolare una maggiore cultura del territorio legata alla produzione vitivinicola. Anche se in realtà queste iniziative si rivolgono principalmente al pubblico, l'effetto che, purtroppo ancora troppo poco e troppo lentamente stanno anche avendo, è quello di rendere i produttori stessi più consapevoli delle potenzialità commerciali che il turismo del vino può avere. Sto naturalmente parlando delle cantine, molte delle quali ancora stentano a capire l'importanza di presentarsi al turista con la necessaria preparazione e pianificazione della comunicazione. In Italia infatti, molte aziende vinicole, soprattutto le più piccole, a conduzione familiare, ancora legate a un certo modo di concepire l'attività, vedono il turismo enologico come, nel migliore dei casi, una perdita di tempo cui non dedicare alcuno sforzo ed energia. Per loro il turista appassionato di vino, che vuole visitare il vigneto, vedere la cantina e degustare i vini che vi vengono prodotti, è solo una scocciatura che li distoglie dalle loro faccende e dai loro, veri, affari.
Tempo addietro, il proprietario di una delle più prestigiose cantine della Valpolicella, tra i pionieri di quel tipo di promozione e comunicazione dell'Amarone, naturalmente inscindibile dall'altissima qualità, che ha portato questo vino veronese ad affermarsi come vino di punta in tutto il mondo, mi disse che il visitatore che in una data cantina fa un'esperienza positiva diventerà poi un missionario di quel vino nel mondo. E l'anziano decano dell'Amarone, non stava forse pensando alle nuove tecnologie: macchine fotografiche digitali, social network, blog e tutti quegli strumenti che possono, nel bene e nel male, amplificare esponenzialmente la comunicazione e il racconto di quell'esperienza.
Questo in Francia l'hanno capito da molto tempo ed è infatti fiorito un'importante indotto turistico attorno ai luoghi di produzione dei mitici vini francesi come Bordeaux o lo Champagne. Tutte le cantine francesi, dalla più piccola alla più grande, da quella che produce il vino più rinomato a quella che produce poco più che aceto, sono adeguatamente preparate a ricevere il turista appassionato di vino con personale multilingua, siti internet accattivanti e comunicativi, accordi coi locali uffici informazione turistica, coordinate per navigatori satellitari e mappe e cartine sempre disponibili. Anche le cantine più piccole a conduzione familiare, sono sempre disponibili, su prenotazione e a meno di impegni pressanti, a dedicare un po' del proprio tempo a chi si ha dimostrato interesse alla loro attività e ai loro prodotti.
E l'hanno capito ancora di più in alcuni di quei paesi che producono i cosiddetti vini del nuovo mondo, in particolare Stati Uniti e Australia dove una buona parte degli introiti delle cantine, soprattutto le più piccole, viene assicurata dalla vendita diretta ai turisti del vino che nei fine settimana affollano le strade della Sonoma e della Napa Valley.
In Italia invece, nonostante tutto, nonostante i numerosi passi avanti nella mentalità, vi sono ancora aziende dove, quando porto dei clienti stranieri, che vengono dall'altro capo del mondo per approfondire la conoscenza delle aree di produzione del veronese, mi sento rispondere in modo brusco che tanto chi viene in aereo non compra niente e non hanno perciò tempo da perdere. Ho visto il titolare di un'azienda far assaggiare a visitatori asiatici vini aperti da settimane e ormai imbevibili dicendomi in dialetto stretto che tanto quelli non ne capiscono niente di vino e si bevono qualsiasi cosa. Nello specifico episodio, i visitatori asiatici scoprii solo poi essere il titolare di un rinomato ristorante di Tokyo e il suo sommelier.
Il proprietario di una cantina tra le più prestigiose e i cui prodotti raggiungo cifre tra le più alte sul mercato, quando gli chiesi di fissare un appuntamento per dei visitatori americani, suo principale mercato, che volevano visitarne l'azienda, mi fece capire più o meno velatamente che lui non è che volesse gente lì tutti i giorni e che potevano visitare la sua cantina solo persone di un certo livello. Lì per lì pensai che il suo discorso poteva avere un senso. Ma poi considerai il fatto che chi oggi magari non ha la disponibilità per acquistare vini costosi, potrebbe forse averla domani, e comunque potrebbe parlare di quella visita ed esperienza con amici e parenti che magari quella disponibilità ce l'hanno, e così via. Non bisognerebbe mai sottovalutare chi si interessa alla nostra attività. La storia di un prodotto e di un'azienda non si fa in uno o due anni, ma è un percorso di comunicazione da costruire ogni giorno nel tempo.
In Italia poi, come sempre, forza e debolezza del nostro paese, si corre tutti in ordine sparso e quindi, accanto a realtà che hanno compreso le potenzialità di un certo turismo, ve ne sono altre che non ne vogliono sapere, e spesso, per il perseguimento di individualismi e piccoli egoismi non si riesce ad organizzare un coordinamento centrale che organizzi in modo armonico, tutti gli aspetti del turismo di un territorio, vino compreso. All'ufficio informazione turistica di Bordeaux, vi è uno sportello interamente dedicato al turismo enologico con due addetti multilingue in grado di fornire informazioni specifiche e dettagliate su tutte le zone di produzione attorno alla città. In base alle aspettative e agli interessi del turista sono in grado di consigliargli in quale cantina recarsi, gli forniscono mappe dettagliate della zona, spiegazioni su come raggiungere il luogo e sono disposte a telefonare per prenotare la visita.
In Italia, qualcosa di simile, in alcuni uffici informazione turistica si sta facendo, ma troppo poco e soprattutto troppo lentamente.
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